Quel maglione in cui non entro più… quella tovaglia che non mi è mai piaciuta… quelle scarpe che mi hanno sempre fatto male… e la domanda: potrebbe servire a qualcuno? La risposta è sì, anzi sono tanti sì. Più di quelli che immaginiamo…
Tra i 7 e gli 8 chili di rifiuti tessili (indumenti ma anche lenzuola, teli, tende, ecc.).
Questo è ciò che ognuno di noi produce, mediamente, in 1 anno.
A Sesto San Giovanni (80.000 abitanti) arriviamo a 600 tonnellate di rifiuti tessili in 1 anno.
I rifiuti tessili, se smaltiti nel “nero”, producono costi economici (circa 250€ per tonnellata) e costi ecologici/di salute (1 tonnellata di rifiuti inceneriti emette 0,8 tonnellate di CO2 (fonte: Ecodallecittà).
Il cassonetto giallo è sempre stato lo strumento per raccogliere questa tipologia di rifiuti con l’obiettivo di farne qualcosa di più “intelligente” che non bruciarli in un inceneritore.
Cosa significa “farne qualcosa di più intelligente?” Significa, laicamente, ridare valore a qualcosa che per noi non ne ha più, significa progettare il suo riutilizzo.
Però…
Nell’immaginario collettivo il cassonetto giallo è il posto dove portare gli abiti che non mettiamo più e metterli a disposizione dei “poveri”. «Ero nudo e mi avete vestito» [Mt 25,36].
In realtà, ciò che va nel cassonetto è un rifiuto, e come tale va pensato, gestito e smaltito.
Solo prima che diventi rifiuto può essere usato “per i poveri”. Se una persona non ha di che vestirsi può andare dal proprio parroco o presso il centro d’ascolto della Caritas e segnalare il proprio problema, lì c’è chi si attiva per provare a risolverlo.
Quindi partiamo dal presupposto che non è compito del cassonetto giallo vestire gli ignudi, per questo abbiamo altri percorsi: precedenti, alternativi ed efficaci.
Il cassonetto giallo, ripetiamo, serve a riutilizzare qualunque rifiuto tessile…
La Cooperativa Vesti Solidale si occupa, attraverso i cassonetti gialli, della gestione di questi rifiuti a Sesto San Giovanni, grazie ad una convenzione stipulata il 23/9/1998 con l’Amministrazione comunale (sindaco Filippo Penati e dirigente del settore ambiente Eros Busato). Ce n’erano 30 fino a ottobre 2020, mediamente ce ne vorrebbe 1 ogni 1.500/2.000 abitanti, dunque ne servirebbero almeno 40…
La convenzione è stata prorogata fino al 2018, da allora il servizio è tacitamente proseguito fino alla richiesta del settore Ambiente del Comune di Sesto San Giovanni, datata 24/9/20, di rimozione di tutti i cassonetti presenti “diventati un catalizzatore di abbandono incontrollato di rifiuti, con problemi di igiene e decoro, particolarmente gravi nel presente periodo di pandemia.”
Attualmente gli indumenti vengono raccolti attraverso 2 modalità: il centro che ha un guardaroba e che li raccoglie direttamente o il cassonetto giallo.
Il centro
Al centro raccolgono tutto, selezionano: il reindossabile lo tengono e il resto lo fanno ritirare direttamente dalla Cooperativa che ha in carico anche lo svuotamento dei cassonetti gialli.
A Sesto i centri sono:
Caritas Salesiani – v. Matteotti, 415 (guardaroba solo fino a 12 anni)
Parrocchia Resurrezione di Gesù – v. Pisa, 37
Parrocchia S. Giovanni Battista – v. Fogagnolo, 96
Il cassonetto giallo
Ne sono rimasti quattro:
Parrocchia S. Carlo – v. Boccaccio, 384
Parrocchia S. Giorgio – Santuario di v. Tevere, 5
Parrocchia S. Maria Ausiliatrice – Caritas Salesiani – v. Matteotti, 415 (accesso con-trollato)
Parrocchia S. Stefano – Scuola S. Caterina – v. Cavour, 10 (accesso controllato)
Non essendo su territorio comunale ma all’interno di una proprietà, ciascun proprietario (in questo caso i parroci) può decidere in autonomia se tenerlo o no. Ovviamente gli abiti che non vanno più nei cassonetti gialli finiscono nell’inceneritore…
Che fine fanno gli indumenti?
Il cassonetto viene svuotato tre volte alla settimana (non la domenica) anche se il maggior afflusso, comprensibilmente, avviene durante il weekend: le persone, andando a Messa, colgono l’occasione per portare i loro pacchi nel cassonetto. Per questa ragione non è così infrequente vedere, soprattutto la domenica, i cassonetti pieni e alcuni pacchi appoggiati per terra accanto al cassonetto. Bisognerebbe non farlo, bisognerebbe ritornare, magari durante la settimana, quando il cassonetto è vuoto, però tant’è, questo accade.
D’altra parte, qualcuno abbandonava anche altre cose ma non è che senza cassonetto non lo fa più, lo fa altrove e il problema di “igiene e decoro” è stato solo spostato.
La Cooperativa carica i rifiuti sul camion e li porta nel proprio magazzino di Cinisello. Lì vengono selezionati e smistati.
Fatto 100, il rifiuto è così composto:
60% abiti effettivamente riutilizzabili (vedremo poi come)
35% abiti non riutilizzabili ma recuperabili in quanto materia, per capirci: se la camicia non è riutilizzabile in quanto tale, è invece recuperabile e riutilizzabile il tessuto di cui è fatta
5% carta, plastica, insomma c’è chi butta qualunque cosa… pazienza
A questo punto del nostro discorso dobbiamo chiarire un punto fondamentale: “riutilizzabile” deve significare “vendibile”. È riutilizzabile nella misura in cui a qualcuno interessa riutilizzarlo, interessa a tal punto da accettare uno scambio: «per avere questa cosa sono disposto ad acquistarla». Un mercato per essere vero, dev’essere fatto di bisogni veri, di competenze vere, spendibili, riconosciute e remunerate, di cooperazione sì ma nella competizione. Il terzo settore ha bisogno di emanciparsi dal finanziamento a fondo perduto, dalla donazione, dalla beneficienza, tutte cose meritevoli, sia chiaro, ma non possono né devono bastare.
È possibile aggredire un pezzo del profitto, sottrarlo alle logiche dell’accumulo e ridistribuirlo sotto forma di “retribuzione a fronte di prestazione”. Per farlo le imprese sociali devono competere anche col profit, accettare le regole dell’impresa e del mercato, e creare valore “vero”, anche economicamente. Produrre valore aggiunto è lo scopo di ogni impresa, l’etica non mette in discussione la sua produzione ma l’utilizzo che se ne fa.
Vi rimandiamo al box dedicato ad una breve presentazione della Cooperativa Vesti Solidale.
Torniamo ai nostri abiti.
Il 60% è così suddiviso: 10% è rivenduto in Italia e in Europa, il 50% è rivenduto altrove.
Il 35% di “materia” viene venduto, principalmente nei paesi del Medio Oriente come il Pakistan, per la rilavorazione, ad esempio per fare imbottiture.
«Ma allora è vero che poi quei vestiti li rivendono, non era una fake news… E io che pensavo di fare del bene, che quel maglione che non metto più andasse a qualcuno che ne ha bisogno…»
Ecco, sappi che quel maglione che non metti più, se lo porti in un centro andrà a chi ne ha bisogno, se lo metti in un cassonetto giallo sarà sanificato e rivenduto e si trasformerà in uno stipendio vero e in un’opportunità di inserimento lavorativo e sociale di una persona svantaggiata che lavora nella cooperativa Vesti Solidale.
Quindi no! Non va sui mercati a foraggiare i soliti furbi. Se fai così non accade. E in più non farti scrupoli, anche se il maglione non è (secondo te…) rindossabile, anche se il lenzuolo è liso e ha uno strappo, non importa, mettilo ugualmente nel cassonetto, tutto viene riutilizzato!
Rivenduto significa che qualcuno lo acquista
Chi lo vende, chi lo acquista e dove? Per rispondere a queste domande dovremmo aprire il tema del mondo Second Hand (seconda mano), del suo mercato e del “pensiero filosofico” che lo sostiene e che lo alimenta. Comprese tutte le critiche al sistema “turbocapitalistico”, allo sfruttamento della manodopera, soprattutto femminile e minorile, all’acquisto compulsivo, alla cosiddetta fast fashion (abbigliamento a prezzi bassi, di bassa qualità, che dura 3 lavaggi e poi lo butti via…) e tanto altro.
Chissà che non ci ricapiti di approfondire…
Vesti Solidale – Vesti Solidale – è una cooperativa sociale ONLUS, con sede a Cinisello Balsamo, che dal 1998 opera senza fine di lucro nell’ambito di prestazioni di servizi alla persona, ambientali e sociali, privilegiando le opportunità di lavoro per soggetti svantaggiati: deficit fisico e/o cognitivo, recupero da percorsi di tossicodipendenza/alcool dipendenza o di esperienze di carcere.
Al 31/12/2020, è composta da 51 soci di cui 40 lavoratori e 11 volontari.
La tutela dell’ambiente attraverso la creazione di nuova occupazione per fasce deboli è la sfida che abbiamo deciso di raccogliere. Siamo infatti convinti della possibilità di innescare un circolo virtuoso che consenta alle persone che vivono ai margini della società di riscattarsi e recuperare dignità attraverso un lavoro che è al servizio della società stessa, impegnandosi poi a reinvestire i proventi in servizi finalizzati ad arginare le nuove povertà.
Vesti Solidale nasce all’interno di un “sistema di Cooperative” promosse da Caritas Ambrosiana che ha dato origine al Consorzio Farsi Prossimo ed aderisce alla rete nazionale CGM. Di questo, le due realtà, ne supportano economicamente i progetti socio-assistenziali.
La sede operativa è un capannone di circa 2.000 mq compresi gli uffici, autorizzato alle operazioni di recupero (31 automezzi autorizzati al trasporto di rifiuti pericolosi e non pericolosi) e smaltimento di diverse tipologie di rifiuti.
Vesti Solidale in questi anni ha dimostrato buone capacità imprenditoriali che si sono tradotte in un continuo incremento del personale assunto. Questo dato rappresenta lo scopo prioritario di tutte le nostre attività.
Al 31/12/2020 conta 111 lavoratori assunti secondo il CCNL delle Cooperative Sociali.
I valori nei quali ci identifichiamo e cui l’intera attività della Cooperativa è finalizzata ed improntata sono riconducibili alla Dottrina Sociale della Chiesa, al capitolo 4 del 47° Sinodo della Chiesa Ambrosiana, alla Lettera Pastorale “Farsi Prossimo” del Card. Carlo Maria Martini alla Diocesi di Milano.
Qui si trova il richiamo alla “pedagogia dei fatti”, intesa come metodologia d’intervento per la promozione pastorale e culturale della carità, che sappia sperimentare sempre nuovi strumenti per favorire la libertà e la dignità di ogni uomo, attuando e condividendo l’attenzione agli ultimi, promossa dalla Caritas Ambrosiana.