Stiamo cambiando, non stiamo morendo.
Così il nostro arcivescovo nella recente veglia missionaria celebrata in duomo ci sprona a guardare con lungimiranza, a comprendere con un’intelligenza più penetrante, la vicenda di Chiesa che tutti ci accomuna. “Ma non vi sentite un po’ anacronistici – continua – gente d’altri tempi, voi che partite in nome di un messaggio vecchio di duemila anni? Non vi sentite un po’ dei sopravvissuti, voi che andate ancora all’oratorio? Non vi sentite un po’ patetici voi che vi dedicate al gesto minimo della carità, dell’educazione alla preghiera di un gruppo di ragazzini dell’oratorio di Milano o di una favela del Brasile, mentre il mercato con la sua invadenza inarrestabile pervade ogni angolo del mondo per vendere prodotti per il corpo e far dimenticare l’anima? Sì, in effetti ci sentiamo circondati da una specie di compatimento, da un diffuso scetticismo, considerando che eravamo tanti e ora siamo pochi, eravamo popolari e ora siamo sospetti, eravamo importanti e ora siamo ritenuti insignificanti.”
Nell’indifferenza e nello scetticismo che circonda il nostro vissuto ordinario, c’è un senso da riscoprire e una gioia da tenere vivace nei nostri cuori.
“Noi abbiamo dentro una gioia che cerca vie nuove per irradiarsi, il fatto è che noi abbiamo ricevuto il dono e la rivelazione di una speranza di vita eterna che vorrebbe farsi dono per tutti. Il fatto è che tutto cambia, tutto è cambiato nel modo di vivere e di pensare da quel primo mattino di Pasqua, eppure non c’è altro nome sotto il cielo in cui si possa avere salvezza. Perciò anche noi stiamo cambiando, anche la Chiesa sta cambiando, ma non stiamo morendo. Siamo vivi di una vita che non è nostra, ma che è gioia invincibile, siamo ardenti di una speranza che non è un nostro proposito, ma una grazia senza prezzo, siamo accompagnati da una amicizia che non è solo un sentimento e un conforto, ma una comunione che incoraggia ogni passo, ogni cammino, la piccola decisione di oggi, di una regola di via, la grande decisione di una vita per una missione nuova.”
Quello che probabilmente sentiamo carente è quella dose di coraggio nel lasciarsi contagiare dalla gioia, che ci consentirebbe di compiere passi che non avremmo mai immaginato, di rompere vecchi schemi mentali, abitudini pessime e quel terribile vizio di noi cristiani di oggi che consiste nel rimanere serrati nelle retrovie lasciando che altri giochino in prima linea.
Perciò occorre guardare ai giovani e a ciò che è stata la nostra giovinezza perduta, non a causa dell’incedere impietoso del tempo, bensì perché si è persa la capacità di entusiasmarsi per le cose belle della vita e ci si è venduti al miglior offerente, facendo della gratuità un vezzo per altri, un lusso per pochi. Donare tempo, donare competenza, donare anche sostegno economico e culturale, donare affetto e cuore “a fondo perduto” per il Regno di Dio sta rischiando di scomparire dai nostri orizzonti.
Ecco perché l’arcivescovo ci invita a tornare a sognare per reimparare a sperare: “Ma non vi sentite troppo sognatori, uomini e donne che credete ancora alle favole, voi che vi professate fratelli di popoli sconosciuti e dichiarate i vostri buoni propositi in un tempo in cui l’avidità e la prepotenza, la corruzione e l’egoismo dominano i rapporti tra le persone, tra le tribù, tra le nazioni? Non vi sembra che i vostri buoni propositi siano ingenui? Non vi sembra che i vostri buoni sentimenti siano insignificanti per un contesto in cui contano i soldi, i numeri, i tiranni? Sì, in effetti, riconosciamo la sproporzione. Sì, in effetti, non abbiamo la presunzione di decidere le sorti del mondo. Il fatto è che noi leggiamo e rileggiamo le pagine della storia, delle assurdità, dei disastri della storia e tra le grida e i gemiti, tra le proclamazioni dei prepotenti, ci giunge e ci persuade e ci commuove una voce discreta, tragica e splendida che percorre i secoli e continua a generare speranza. Ci parla il sangue dei martiri, ci parla la sapienza dei saggi, ci parla il fascino dell’umanesimo cristiano. Il fatto è che di fronte alla guerra noi non possiamo tacere il messaggio della fraternità universale, di fronte all’ingiustizia noi non possiamo tacere la parola di Dio che stringe alleanza con le vittime e chiama a conversione l’ingiusto, di fronte ai sentimenti ostili e alle azioni spietate noi non possiamo trattenerci dal praticare la misericordia. Noi non possiamo rassegnarci al silenzio, all’inerzia, alla viltà. Perciò formuliamo i nostri propositi, perciò ci mettiamo in cammino.”
Sentiamo la responsabilità di tenere vive nella storia dell’umanità cammini di pace, giustizia e misericordia.
Don Emanuele.